Bioeconomia: le distorsioni “istituzionali” che si fanno beffe della teoria di Georgescu-Roegen

Bioeconomia: un termine con un significato che il suo ideatore, l’economista e matematico Nicholas Georgescu-Roegen, aveva legato strettamente alla compatibilità con la vita e le leggi della natura. E di cui oggi si sono appropriati in molti, distorcendolo e piegandolo a interessi che hanno ben altre finalità di quelle originarie. Ce lo spiega Margherita Ciervo, ricercatrice e docente universitaria.

Bioeconomia: un termine con un significato che il suo ideatore, l’economista e matematico Nicholas Georgescu-Roegen, aveva legato strettamente alla compatibilità con la vita e le leggi della natura. E di cui oggi si sono appropriati in molti, distorcendolo e piegandolo a interessi che hanno ben altre finalità di quelle originarie. Ce lo spiega Margherita Ciervo, ricercatrice e docente universitaria. La professoressa Ciervo è professore aggregato e ricercatrice in geografia economica e politica all’università di Foggia, ricercatore associato all’Università di Liegi e attiva nella ricerca  in Europa e Sud Americam oltre che autrice di articoli e pubblicazioni scientifiche.

Bioeconomia: un termine con un significato che lei, professore Ciervo, conosce molto bene ma che oggi spesso viene declinata in modo funzionale a ben altri obiettivi rispetto a quelli dell’accezione appunto originaria. Al riguardo, siamo venuti a conoscenza del Documento di valutazione e indirizzo della Strategia di bioeconomia europea redatto dall’Osservatorio Interdisciplinare sulla Bioeconomia (OIB) di cui lei è fra i promotori. Può presentare in breve i contenuti del documento?

«La bioeconomia nel senso originario del termine, ovvero secondo quanto teorizzato da Georgescu-Roegen (economista e matematico), è una bioeconomia compatibile con la vita e le leggi della natura. Tuttavia oggi, le strategie di bioeconomia promosse ai vari livelli istituzionali sono ben lontane da tale teoria, basandosi su una mera sostituzione delle fonti fossili con quelle organiche, in particolare biomassa prodotta da monocolture, silvicoltura e rifiuti. Questo, tuttavia, soprattutto in mancanza di un piano di diminuzione della domanda di energia e materia, ha impatti significativi a monte e valle della filiera produttiva che non sembra siano considerati. Si tratta di una visione industrialista dell’economia e anche dei processi biologici. Questo vale anche per la strategia di bioeconomia della Commissione europea (del 2012, aggiornata nel 2018) e la conseguente strategia italiana. La strategia di bioeconomia – promossa come la nuova frontiera dell’economia “verde” e la panacea capace di coniugare ambiente e lavoro – presenta, in realtà, forti contraddizioni rispetto agli stessi obiettivi che si pone, ovvero la riduzione dell’uso di fonti non rinnovabili e non sostenibili e della dipendenza dalle importazioni. Appare basata sull’errata convinzione che la “materia biologica” sia automaticamente “materia rinnovabile”, a prescindere dalle condizioni di impiego del suolo, dal tempo di rinnovo della risorsa e dalle relazioni dell’ecosistema all’interno del quale il patrimonio ambientale prelevato viene utilizzato come risorsa. Ovviamente, tale visione – che si approccia al territorio come se fosse un contenitore di risorse e agli alberi come fossero oggetti fungibili – è assolutamente lontana dalla realtà. Inoltre, la mera sostituzione delle fonti – che non prenda in considerazione anche la riduzione dei consumi di energia, materia e acqua – non solo non è sufficiente ma può essere dannosa. La Strategia si basa sulla produzione di biomassa su larga scala – e, quindi, sulla necessità di suolo fertile (sottratto anche alle foreste), acqua e input chimici – prodotta secondo il modello (e le logiche) dell’agro-industria che, come ampiamente dimostrato dalla letteratura scientifica, ha un forte impatto sull’ambiente, la biodiversità e l’economia territoriale. La Strategia, fondandosi sulla produzione energetica prevalentemente via combustione di sostanza biologica, compromette il recupero di questa per la compensazione dei suoli incidendo, così, anche sul clima a causa de bilancio di CO2 sfavorevole. Con riferimento all’Italia, è stata rilevata una stretta connessione fra la strategia di bioeconomia e il
 Testo Unico Forestale (TUF) del 2018, il cui impatto sul patrimonio forestale e la biodiversità appare piuttosto negativo. Con l’aggiornamento del 2018, la Strategia di bioeconomia si connette strettamente al processo di digitalizzazione (adeguamento alla Nuova Strategia di Politica Industriale 2017) aumentando esponenzialmente il fabbisogno di minerali essenziali alla produzione di alta tecnologia, come le terre rare che – oltre a non essere rinnovabili – sono fortemente impattanti per l’ambiente e la salute (ad esempio, la produzione di una tonnellata di terre rare genera fra 1 e 1,4 tonnellate di rifiuti radioattivi) e rendono, inevitabilmente, l’UE dipendente dalle importazioni (considerato che  oltre il 90% delle terre rare sono prodotte in Cina). Pertanto, come argomentato nel documento di valutazione a cui faceva riferimento (liberamente scaricabile da: www.economiaeambiente.it  ) – che esprime osservazioni e proposte già presentate dall’OIB (www.osservatoriobioeconomia.it  ) alla Commissione europea e al governo italiano -, la Strategia di bioeconomia risulta dipendente da risorse non sostenibili, non rinnovabili e dalle importazioni, motivo per cui richiederebbe una rielaborazione sistematica partendo dall’imprescindibile adeguamento alla Strategia europea sulla biodiversità, al Piano nazionale integrato per l’energia e il clima e ai piani di adattamento climatico».

Perché oggi è più che mai necessario (ri)pensare in termini bioeconomici – secondo il significato originario del termine – il nostro modo di produrre, di vivere, di consumare?

«In primis, perché gli esseri umani sono natura e non sono separati dal resto della natura da cui, invece, dipendono. In secondo luogo perché ogni cosa che accade all’ambiente accade agli esseri umani. È solo questione di tempo. Abbiamo bisogno di un’economia compatibile con la vita e le leggi della natura, che sia rispettosa dei cicli biogeochimici e che non interferisca con gli equilibri ecosistemici. L’economia dovrebbe tornare a rispondere alla sua funzione originaria – ovvero l’organizzazione e la gestione delle risorse al fine di soddisfare i bisogni umani e sociali – che non è certo quella di essere al servizio dei mercati globali e dei loro driver. Nel fare questo bisognerebbe da un lato ridimensionare (se non eliminare) i bisogni indotti – e, dunque, i consumi di energia, materia e risorse naturali (acqua compresa) associati – dall’altro, optare per modalità e scale di produzione meno impattanti per l’ambiente. Bisognerebbe riconsiderare con molta serietà uno dei punti fondamentali di arrivo di Georgescu-Roegen ovvero che il fine ultimo del processo economico – così come dell’agire umano – non è l’utilità, e tanto meno lo spreco, bensì il “godimento della vita”. Questo richiederebbe che anche la finanza tornasse alla sua funzione originaria di servizio dell’economia, abbandonando ogni scopo speculativo. È evidente che questo richiede un salto di paradigma e, dunque, un profondo cambiamento culturale».

In questo momento di emergenza climatica ed ecologica, che peso e ruolo positivi può avere la bioeconomia e quali applicazioni pratiche?

«Dipende a quale “bioeconomia” ci riferiamo. La bioeconomia oggetto della Strategia della Commissione europea, basata essenzialmente sulla sostituzione delle fonti fossili con la biomassa, non potrà che avere dei risvolti negativi sia sull’ecosistema sia sul clima per i motivi già esposti nella prima domanda. Diversamente, una bioeconomia compatibile con la vita e le leggi della natura – come quella teorizzata da Georgescu Roegen – avrebbe senz’altro un ruolo positivo sia per l’ambiente che per il clima in quanto sarebbe basata su un piano di riduzione degli sprechi e dei consumi (soprattutto superflui), sull’allungamento del tempo di vita dei prodotti e sull’agricoltura organica a scala locale. Questo comporterebbe la riduzione del consumo di risorse (suolo, acqua, minerali) ed energia, nonché degli inquinamenti ad esso associato, con un’ovvia diminuzione anche di CO2».

Un’esortazione per il cittadino comune che legge e anche per chi sta ai piani alti e prende decisioni?

«Il primo consiglio è quello di porsi sempre domande avendo ben chiaro che non basta un prefisso “amico dell’ambiente” (bio/eco/green/ecc.) per rendere sostenibile un prodotto, né tanto meno una strategia politica. Bisogna sempre guardare alla sostanza per comprendere. A livello personale, questo significa assicurarsi che i beni che si acquistano siano prodotti in condizioni di reale sostenibilità per l’ambiente (per esempio, origine locale degli ingredienti, agricoltura organica, filiera corta, ecc.), riconsiderare le proprie scelte di trasporto, investimento, ecc. e il proprio stile di vita. A livello politico, bisognerebbe considerare anche il mondo scientifico oltre quello industriale. Per esempio, è piuttosto significativo che la Strategia di bioeconomia della Commissione europea ricalchi a tal punto l’agenda degli industriali che, con l’aggiornamento del 2018, è stata adeguata alla Nuova Strategia di Politica Industriale, anziché alla Strategia europea sulla Biodiversità (che sarebbe cosa scontata in un piano di “Bio-economia” degno di questo nome). Quanto detto vale anche per la Strategia italiana di bioeconomia che recepisce quella europea anche se, in questo caso, ci sono dei segnali di discontinuità soprattutto nel documento di preparazione alla prima Strategia italiana (BIT) dove venivano rilevati rischi sul piano ambientale, con particolare riferimento al “sovrasfruttamento e la creazione di impliciti trade-off tra la mercificazione e la conservazione delle risorse naturali”, così come riportato anche nella BIT I. Nella BIT II permane la presa d’atto che da un punto di vista ambientale questo tipo di bioeconomia possa comportare una serie di sfide dai risvolti problematici riguardanti il processo produttivo e le fonti delle materie prime. E anche se le preoccupazioni sembrano rimanere a livello di mera enunciazione, non si può non rilevare l’attenzione dimostrata dal Gruppo di coordinamento Nazionale per la Bioeconomia della Presidenza del Consiglio dei Ministri che ha partecipato alla Conferenza sulla Strategia di bioeconomia organizzata dall’OIB lo scorso settembre (alla quale hanno preso parte anche diversi parlamentari) e che ha invitato il nostro Osservatorio (OIB) a partecipare alla XIV Riunione del Gruppo di coordinamento nazionale per la Bioeconomia svoltosi lo scorso febbraio. Ci auguriamo che tale espressione di interesse possa trovare una concretizzazione nella revisione/rielaborazione della Strategia».

Link: https://www.terranuova.it/News/Stili-di-vita/Bioeconomia-le-distorsioni-istituzionali-che-si-fanno-beffe-della-teoria-di-Georgescu-Roegen